Siamo testimoni di una terza rivoluzione nel mondo digitale che promette di sovvertire il modo in cui vediamo e viviamo internet: il Web 3.0 o web3.
È probabile che tu ne abbia sentito parlare sempre più spesso negli ultimi mesi, direttamente, o indirettamente, attraverso i concetti di Metaverso, token e tutto il mondo delle crypto valute.
Il Web 3.0 è il contenitore di tutti questi cambiamenti, ma come funziona e qual è la differenza tra web 2.0 e 3.0?
La ri-evoluzione del Web
Per capire il Web 3.0 dobbiamo fare due passi “indietro” nell’evoluzione del web, precisamente al Web 2.0 e all’antenato Web 1.0.
Se le loro caratteristiche possono essere spiegate in modo chiaro, altrettanto non si può dire dei momenti in cui si è passati da uno step all’altro. Ciò è dovuto al rapido progresso del settore che ha reso complessa una lettura temporale e tecnica ben definita. Storicamente, le fasi vengono quindi ordinate in questo modo:
- Web 1.0: circa dal 1991 al 2004
- Web 2.0: dal 2004 a oggi
- Web 3.0: dal 2014 (momento in cui è stato coniato il termine) a oggi
Cos'è il Web 1.0?
Il Web 1.0 era caratterizzato dal fatto che gli utenti erano semplicemente spettatori che utilizzavano le informazioni presenti su siti web statici (quindi non ancora sviluppati in Dynamic HTML) senza avere la possibilità di interazione.
Non esisteva quindi il concetto di creator. Questi ultimi infatti erano solo gli sviluppatori in grado di realizzare i primi siti web e il massimo di interazione a disposizione degli utenti era garantito dai forum.
Cos'è il Web 2.0?
A partire dal 2004 si assiste a un cambiamento epocale: il limite di interazione del Web 1.0 viene completamente demolito dal Web 2.0 che, non a caso, viene proprio definito web dinamico e/o social web.
Con il Web 2.0 (abbreviato spesso a web2) non è più necessario essere programmatori per promuovere contenuti online. Le piattaforme e app presenti sul web sono costruite proprio con lo scopo di rendere ogni utente un creator in grado di condividere agevolmente qualsiasi tipo di contenuto in tutto il mondo, interagendo con chiunque usi la stessa piattaforma.
Web 2.0: monetizzazione e sicurezza
Fermiamoci un attimo ad analizzare i punti di forza e i limiti del web2 poiché entrambi sono la causa della rivoluzione web3 o internet 3.0.
Sappiamo che, per avere successo, un’app social deve avere essenzialmente tre caratteristiche:
- semplicità d’uso
- gratuità
- un bacino di utenti il più ampio possibile
La semplicità d’uso e la gratuità sono i cardini che possono permettere a un’app di essere utilizzata e diffondersi presso un numero di utenti sempre maggiore.
Tuttavia, chi sviluppa l’applicazione ha necessità di fondi che spesso vengono garantiti da investitori esterni, i quali, chiaramente, attendono un profitto nel minor tempo possibile.
Per fronteggiare a questa richiesta, la soluzione è quella di cedere dati personali al fine di promuovere annunci pubblicitari sempre più personalizzati e mirati ai fruitori dell’app.
Ciò succede perché nel Web 2.0 l’utente è solo un mero utilizzatore delle piattaforme e non ha alcun (o quasi) controllo sui propri dati e su come sono gestiti.
Questa centralizzazione di enormi quantità di dati personali in mano a poche società genera notevoli problemi di privacy, in particolar modo nel caso dei cosiddetti data-breach. Ma pensiamo anche al caso della censura effettuata da alcune app social (davanti alla quale un utente è assolutamente impotente) o la situazione in cui, se una di queste piattaforme dovesse fallire, ogni dato e contenuto andrebbe perso per sempre.
Cosa cambia con il passaggio Web 2.0-Web3.0?
Il Web 3.0 si sta sviluppando proprio con lo scopo di ridurre queste problematiche, riprogettando il modo in cui gli utenti interagiscono sul web.
Cos'è il Web 3.0?
L’obiettivo di quest'ultima evoluzione del web è di eliminare le problematiche legate al Web 2.0, potenziandone però gli aspetti vincenti. Come fare? I fronti di intervento sono molteplici, ma fanno tutti capo a un unico concetto: decentralizzazione.
Per capire come funziona, partiamo dallo stesso presupposto da cui siamo partiti nell’analizzare il web2: un’azienda che decide di sviluppare una nuova app.
Mentre nel web2 gli sviluppatori si appoggiano su un singolo server salvando i dati su un unico database, nel web3 tutto ciò non avviene e le applicazioni si trovano interamente su blockchain o su una combinazione tra blockchain e diversi server che crea quello che viene definito protocollo crypto-economico.
Capiremo a breve questo concetto. Quello che per ora è intuibile, è che questo step bypassa interamente il problema della centralizzazione. Non a caso queste app vengono adesso definite Dapps (decentralized applications).
Tuttavia, gli “attori” in gioco (pensiamo appunto a chi offre servizi di hosting, cloud, storage, ecc.) si trovano in competizione tra loro allo scopo di offrire il miglior servizio e… devono essere retribuiti. Ed è a questo punto che entrano in gioco le crypto valute. Questi scambi di servizi, o protocolli, vengono pagati tramite token. Un token non è altro che un insieme di informazioni digitali all’interno di una blockchain che garantisce un diritto a chi ne ha possesso.
Web 3.0: smart contract
Questo scambio di token, quindi di vere e proprie transazioni, fanno parte di smart contracts e devono chiaramente essere registrate all’interno della blockchain affinché abbiano una validità. Nel Web 3.0 lo scambio di moneta non viene tracciato da intermediari come banche o istituti finanziari, bensì da soggetti indipendenti che tracciano lo scambio di protocolli registrando, e certificando, il loro avvenuto passaggio in cambio di gas-fee (una vera e propria tassa attribuita al momento della transazione). Tutto ciò è definito come un sistema di pagamenti nativi.
Anche questo passaggio è chiave per la decentralizzazione poiché questi scambi non sono più centralizzati in poche banche o istituti, bensì in una rete globale di computer indipendenti.
L’idea è di per sé semplice, ma, come possiamo intuire, estremamente difficile da implementare perché la barriera principale è la fiducia che dobbiamo riversare in questi intermediari. Con il web3 questa paura di poca, o nulla, attendibilità dell’intermediario viene meno perché sono le caratteristiche stesse della blockchain a rendere i codici smart contracts tracciabili in modo trasparente, univoco e sicuro.
Web 3.0: privacy e crypto wallet
Così come i soldi “fisici” vengono custoditi nel nostro portafoglio, le crypto valute hanno il loro portafoglio digitale: il Crypto Wallet.
Il Crypto Wallet tuttavia non è solo il “luogo” dove conserveremo e, grazie al quale, utilizzeremo le crypto valute. Il Crypto Wallet, dotato di un codice univoco e procedure di sicurezza avanzate, costituisce infatti anche la nostra identità digitale, diventando, quindi, il nostro pseudonimo.
Come è intuibile, anche il problema della privacy assume una connotazione completamente diversa poiché non sarà più legata (nella maggior parte dei casi) alla nostra reale identità, bensì a ciò che è connesso al Crypto Wallet.
Questa rivoluzione digitale porta con sé innumerevoli potenzialità che da mesi il nostro team di R&D sta ricercando, sperimentando e mettendo in pratica con i Brand più innovativi del momento. Per scoprire le ultime novità, fare i primi passi in ambienti virtuali, ed approfondire uno di questi temi analizzando i best cases del mercato, parliamone assieme!
Autore
Alessandro Casaro — Digital Marketing Specialist @AQuest | WPP Group