Brand Virtualization e la nuova sfida per i brand di domani.

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12 marzo 2021

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Il 2020 ha rappresentato un salto quantico per il mondo contemporaneo e per quello digitale in particolare, assegnando un nuovo significato alla definizione di trasformazione digitale
Una pandemia non prevista ci ha colti di sorpresa, lasciandoci spettatori e protagonisti di una rapida accelerazione digitale, con profondi cambiamenti nelle abitudini d’acquisto dei consumatori e, parallelamente, caratterizzata dall'urgente bisogno dei brand di incontrare le persone nelle loro vite virtuali.

Mentre la tecnologia per gestire comunicazioni e marketing in ambienti virtuali è in circolazione da un po’ di tempo, ciò che è nuovo sono i modi in cui viene applicata: oggi l’obiettivo è quello di inserirle nelle proprie strategie di business per soddisfare tutte le fasi del marketing funnel.

La fase successiva della trasformazione digitale è la virtualizzazione, un processo che comprende “la creazione di ambienti distinti e digitali in cui le persone possono interagire con i brand”. — Forrester Consulting


Negli ultimi mesi è nato un bisogno nuovo, di quel genere di necessità che costringe a cambiare il punto di vista, a mettersi in posizioni scomode e rivalutare abitudini e procedure.
Nessuno può permettersi di trovarsi una seconda volta impreparato, slegato dal proprio mercato e senza modo di comunicare in maniera efficace, adeguata e coerente con il contesto in cui le persone vivono.

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Source: “Reimagining Marketing. Marketing in the next normal”. McKinsey & Company, July 2020

I cauti approcci ad iniziative di trasformazione digitale devono essere sostituiti da cambi profondi e radicali, per coinvolgere le persone ovunque esse siano nell’ecosistema digitale.
L’identità di un brand è un’idea, un concetto, un insieme di valori, azioni e prese di posizione. Tutto questo sarà sempre di più tradotto in soluzioni e comunicazioni senza limiti di spazio, democraticamente disponibili a livello globale e ancora più vicine alle persone a cui i brand si vogliono raccontare.


La virtualizzazione definisce il posizionamento.

L’atto di intraprendere azioni nella direzione di virtualizzazione del brand rappresenta esso stesso un messaggio verso il mercato e la propria audience.
Era il 1967 quando Marshall McLuhan, filosofo e sociologo canadese, ma soprattutto teorico della comunicazione, pubblica il suo libro dal titolo “The Medium is the Massage*. An inventory of effects”.

Quest’opera, da 53 anni perfettamente attuale, dimostra i modi in cui i media costituiscono vere e proprie estensioni dei sensi umani; si fondano sulle nostre abilità sensoriali fisiche, per poi espandere la nostra capacità di percepire il mondo, fino ad un punto così ampio che sarebbe impossibile senza di essi. Queste estensioni della percezione contribuiscono alla teoria di McLuhan del villaggio globale, quale descrizione del fenomeno del mondo intero sempre più interconnesso come risultato della propagazione di nuove tecnologie.

La virtualizzazione in quanto tecnologia è un nuovo mezzo di comunicazione, ovvero è essa stessa comunicazione, assumendo talvolta anche maggiore importanza del messaggio che vuole trasmettere.
La scelta di comunicare con canali e soluzioni digitalmente innovativi costituisce quindi una scelta di posizionamento.
Quale esperienza offrire? Su quale canale incontrare il proprio target?
Tutto questo definisce i lineamenti di un brand.

Se tra i valori di un brand sono presenti anche uno solo tra innovazione, customer experience, coinvolgimento, awareness, rilevanza e competitività, un approccio 100% digitale molto probabilmente sarà una soluzione efficace.

Quando le persone hanno l’occasione di sperimentare un’esperienza di brand positiva, di conseguenza svilupperanno intenzioni di rimanere con quel brand più a lungo, identificarsi nei suoi prodotti e servizi, e generare passaparola.
Ecco come la customer experience ha un impatto diretto sul fatturato.
Ed ecco perché questo è il momento di definire nuovi standard di comunicazione digitale e virtuale.


Brand Virtualization: un vantaggio competitivo.

Dall’inizio della pandemia molti brand hanno dovuto coinvolgere la propria audience a livello puramente virtuale. In molti si sono trovati ad adeguarsi con soluzioni predefinite, per tradurre in digitale ciò che fino a 48 ore prima era stato offline. Ma questo atteggiamento di “tradurre” dall’offline all’online non è la risposta corretta ad un momento storico che chiede invece una trasformazione di natura più profonda, più strutturale.

“Once a new technology rolls over you, if you’re not part of the steamroller, you’re part of the road.” — Stewart Brand

Il termine virtualizzazione significa strettamente “l’astrazione di componenti fisiche al fine di renderle disponibili come risorse virtuali”.
Ma quando parliamo di virtualizzazione di un brand, si intende molto di più della semplice traduzione in digitale dell’interazione o dei touchpoint di un marchio. La vera virtualizzazione richiede una ricostruzione strategica degli sforzi di marketing, si riferisce alla creazione di ambienti digitali nuovi e distinti, accessibili a chiunque desideri esplorare l’identità di un brand, viverne le esperienze proposte e interagire con esso.

La semplice traduzione “in digitale” di esperienze vissute abitualmente offline, determina un risultato che sarà percepito di livello inferiore rispetto alla versione originale. Sarà quindi necessario concentrarsi su un livello completamente nuovo di soluzioni e innovazioni, che sapranno invece migliorare l’esperienza utente, rendendola indelebile come prima non era possibile o immaginabile (Forrester Consulting — The next phase of digital transformation is brand virtualization).

“The future rests on much more than translating experiences and touchpoints into digital.”

Parliamo di Virtualizzazione del Brand non più come idea da svilupparsi successivamente ad altre strategie, per un vezzo di stile digitale, ma piuttosto come una necessità di accompagnare e soddisfare i consumatori in ogni fase del loro stile di vita digitale e virtuale.
Il tempo per pensare ad una graduale trasformazione digitale è finito: questo è il momento di creare identità virtuali, per rendersi autonomi e svincolati da dinamiche fisiche non controllabili e garantire a tutti i touch point una vita serena e senza interruzioni.

Definire la propria identità e pianificare una strategia su sole piattaforme digitali è rassicurante, perché i vantaggi sono evidenti:

  1. Esperienze immersive di alto livello, per impatto e coinvolgimento.
  2. Ampiezza e varietà del pubblico raggiunto.
  3. Misurabilità e ottimizzazione di performance e ricavi.
  4. Possibilità di personalizzazione dell’esperienza e del messaggio.
  5. Disponibilità di dati per un monitoraggio dettagliato e completo.
  6. Rilascio di iniziative in tempi rapidi e con obiettivi mirati.

Un futuro luminoso è scritto per chi saprà incontrare e coinvolgere i propri clienti in quegli stessi ambienti digitali in cui essi già stanno vivendo.
Le stesse acquisizione e fidelizzazione dei clienti, in quest’epoca digitale di nuova generazione, dovranno essere ridisegnate con investimenti in nuove risorse capaci di concepire una versione digitale dell’identità e natura profonda di un brand.

 

Ecosistemi virtuali

Come si struttura un piano di virtualizzazione?
Prima di tutto è necessario individuare i touchpoint responsabili del primo contatto con gli utenti, quindi del loro coinvolgimento e aumento del livello di attenzione. Si elencano quindi i principali canali su cui si dovrà creare un ecosistema virtuale: eventi virtuali, esperienze mobile e app, social media, web app, e-commerce, social commerce e tutti i sistemi più ampi di entertainment e streaming.

Ma ciò che si deve creare sono esperienze, sensazioni, percezioni, e lo si può fare soltanto con un’idea realizzata su misura. Perché si tratta pur sempre di instaurare relazioni personali, e si sa che a qualità, tempo e divertimento, si risponde con quell’unica cosa che interessa davvero ai marketers: l’attenzione.

Un mondo virtuale può essere ideato, disegnato, ampliato e modificato in qualsiasi modo si desideri. In questo senso resisterà al passare del tempo, perché grazie a costanti aggiornamenti potrà sempre essere la destinazione per le principali esperienze di interazione con il brand. Potrebbe includere contenuti nuovi o già esistenti, ospitare meeting, influencers, diventare un museo o un mix di tutto questo.

Ecco tre modi in cui possono essere utilizzati gli ambienti virtuali:

1. Lancio nuovi prodotti /aggiornamenti.
Uno spazio virtuale può essere concepito come punto di riferimento per approfondire la conoscenza di un prodotto, in modalità su misura per il proprio pubblico di riferimento (clienti, prospect, addetti alle vendite, partner). In questo contesto virtuale si offre alle persone la possibilità di entrare nello spazio, e approfondire proprio le informazioni che essi desiderano.

2. Raggiungere nuovi pubblici / Entrare in nuovi mercati.
Gli ambienti virtuali non solo rendono più facile comunicare e collaborare con il proprio pubblico abituale, ma allargano questa possibilità a un pubblico molto più ampio (es. un unico ambiente fruibile in multilingua).

3. Estendere la conversazione a prima e dopo l’evento.
Fiere e sales meeting si svolgono, per loro natura e struttura, in un breve arco temporale. Tutto il lavoro svolto per organizzare l’evento si spende quindi in uno o pochi giorni, nonostante la disponibilità dei partecipanti a mantenere attiva la conversazione.
Gestire un evento di questa natura in un ambiente virtuale, offre maggiore margine di networking e la possibilità di guidare i partecipanti verso altri materiali di approfondimento, oltre a possibilità di confronto individuale.


Casi studio di Brand Virtualization


Complexland


Complex è una piattaforma multimediale statunitense che promuove contenuti di diverse categorie della cultura pop (streetwear, style, cibo, musica, sneakers e sport) rivolta principalmente a millennials e Gen Z.

Per celebrare le principali passioni della propria community in tempi di pandemia (in sostituzione di ComplexCon, il mercato pop-up d’arte, musica, sneakers, streetwear e cibo che si tiene ogni anno al Long Beach Convention Center in California), ha scelto di creare ComplexLand: un “pandemic-friendly virtual world” per ospitare un festival virtuale della cultura streetwear ad accesso completamente gratuito, della durata di 5 giorni (7–11 dicembre 2020), ambientato in 5 diversi quartieri.

Una volta entrato, l’utente può creare il proprio avatar e con questo iniziare ad esplorare negozi dei migliori brand ed effettuare acquisti, partecipare ad eventi live, ricevere drop esclusivi, ordinare da ristoranti locali e conversare in chat con altri utenti presenti e molto altro.

 

Lamborghini STO Unveil

In occasione del lancio della nuova STO (Super Trofeo Omologata) Lamborghini ha scelto un lancio completamente virtuale, che permettesse ai media e ai consumatori di esplorare virtualmente il veicolo.
Per questo il lancio è stato presentato su una piattaforma sviluppata in 3D, con l’integrazione di componenti di realtà aumentata.
Una soluzione coinvolgente per un’esperienza immersiva, che dona agli utenti la libertà di muoversi e scoprire a 360° la nuova Lamborghini STO.

Nell’ambiente ricostruito digitalmente, dove sono presenti 7 hotpoint sulla vettura e altri 6 nel paddock, è inoltre possibile accedere a contenuti extra in CGI, con informazioni tecniche o di approfondimento sul team Lamborghini.

Lamborghini



Virtual House of Vans

Un ambiente completamente personalizzato e navigabile, ideato perché gli utenti possano esplorarlo e interagire con esso.
Ogni stanza offre occasioni di approfondimento e scoperta, con video interviste ai protagonisti del mondo Vans, foto gallery, descrizioni e dettagli prodotti, focus su eventi e concerti.
Un’esperienza del tutto simile a quella di un ambiente reale, ma ancora più ricca grazie a contenuti costantemente aggiornati e coerenti con le comunicazioni di brand. 

Vans



Lincoln Nautilus Virtual Reveal

Per lanciare virtualmente la Lincoln Nautilus del 2021, il brand in collaborazione co l’agenzia SetCreative, ha scelto di distinguersi dai tradizionali lanci di vetture proponendo una soluzione virtuale basata sul concetto di tranquillità.
Gli ospiti hanno potuto esplorare l’interno e l’esterno del nuovo Nautilus in uno dei quattro sereni ambienti 3D a scelta, con una colonna sonora personalizzata progettata per ricreare “il santuario” offerto da questa sorprendente nuova Lincoln.

 


 

Se le persone stanno rapidamente adottando nuove tecnologie e iniziano a preferire le esperienze digitali a quelle offline (fonte: Forrester Research), va di conseguenza che le scelte dei brand dovranno essere virtual first.

Anche quando torneremo alla normalità le esperienze virtuali manterranno il loro valore e le stesse funzioni a cui, nel frattempo, ormai tutti ci saremo abituati. Compreso il grande vantaggio di misurabilità di interazioni e performance: infatti ogni singolo click e durata dell’esperienza virtuale di un utente può essere tracciata, registrata e valutata.

Investire oggi in un’esperienza virtuale significa creare un’opportunità che il proprio brand potrà riutilizzare indefinitamente, per coinvolgere persone in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo.


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*Il termine “massage”, nato da un errore di battitura dell’originale “message” venne lasciato su decisione dello stesso McLuhan. Gli era piaciuto il modo in cui il termine si riferisse all’effetto di manipolazione che i media avevano sulla percezione sensoriale delle persone: “After McLuhan saw the typo, he exclaimed, ‘Leave it alone! It’s great, and right on target!’ Now there are four readings for the last word of the title, all of them accurate: Message and Mess Age, Massage and Mass Age.”



Autore
Francesca Tumicelli — Brand Manager @AQuest | WPP Group




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